Il commento di oggi é affidato alla penna del nostro conterraneo Sabato Limonciello
In Italia si è spesso costruito in barba alle leggi, ai regolamenti e, in taluni casi, anche al buon senso: solo per limitarci alla Campania, abbiamo tutti sotto gli occhi le abitazioni costruite sulle falde del Vesuvio o in zone idrogeologicamente pericolose, come ad Ischia.
E, proprio in relazione ad Ischia, recentemente il Governo Nazionale, approfittando del Decreto per la ricostruzione del ponte di Genova, vi ha inserito una norma che consentirebbe la ricostruzione delle case abbattute dal terremoto, anche se precedentemente costruite, appunto, in zone idrogeologicamente pericolose.
E’ evidente che bisogna trovare una soluzione che regoli, una volta per tutte, il fenomeno. Anche se, in Italia, spesso si è fatto ricorso a condoni, sanatorie e simili, giurando che sarebbe stata l’ultima volta che si sarebbe fatto. Ma non è mai stato così. E questo pone il problema della credibilità e serietà della nostra classe dirigente e politica. E, di conseguenza, la scarsa capacità di noi cittadini di sceglierci rappresentanti adeguati.
Prendiamo, giusto per fissare le idee, la situazione di Ischia: su circa 65.000 abitanti, sono 600 le abitazioni che dovrebbero essere abbattute, perché considerate non sanabili, e 27.000 (mediamente una a famiglia, quindi) le domande di condono.
Ovviamente una decisione drastica creerebbe più problemi di quelli che tenterebbe di risolvere: se le case fossero tutte abbattute, ci sarebbe la immediata necessità di ricollocare le persone che vi abitavano, oltre a quella di smaltire le macerie createsi con gli abbattimenti.
Proprio in relazione a queste problematiche, la Regione Campania aveva promulgato una legge, poi impugnata dal Governo Nazionale, che sosteneva la "non sanabilità" per nessuna ragione per quattro categorie di abuso:
1) Costruzioni realizzate da imprese camorristiche;
2) Costruzioni in zona con vincolo ambientale
3) Costruzioni realizzate in zone idrogeologicamente pericolose
4) Costruzioni realizzate da chi è già in possesso di un alloggio;
Inoltre, veniva data ai Comuni la facoltà di valutare l'utilità sociale degli immobili.
In questo caso si ipotizzava la requisizione degli alloggi (non il condono) e la loro acquisizione al patrimonio pubblico. Il Comune poteva poi prevedere un uso sociale a favore di chi aveva le stesse condizioni di reddito previste per poter richiedere un alloggio popolare.
Mi sembrerebbe un modo sensato, non ipocrita, di affrontare la questione. Non basta, evidentemente, parlare e stracciarsi le vesti di ambiente mentre decine di migliaia di alloggi abusivi, non potendosi allacciare alle reti fognarie comunali, sversano dappertutto inquinando i territori e le falde.
Una decisone definitiva va presa. E va messa in campo tutta la residua credibilità delle Istituzioni per far capire che si è invertita la rotta. Agire come propone la Regione Campania mi sembrerebbe un ottimo segnale.